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Brani di Thich Nhat Hanh

Letture per trovare ispirazione nella pratica

PASSI DEL BUDDHA

Thich Nhat Hanh

Nel 1968, mentre ero in viaggio verso Parigi per contribuire a formare la delegazione buddhista ai Colloqui di pace, mi fermai in India sperando di avere l’occasione di visitare il luogo in cui il Buddha aveva raggiunto l’illuminazione. A Nuova Delhi presi un aereo fino a Patna, a nord del Gange, da dove potevo raggiungere Bodhgaya, la mia destinazione. Quell’aereo seguiva i passi del Buddha lungo il fiume.Il Buddha non viaggiava in auto, in aereo o in treno; lui, semplicemente, camminava. Raggiunse a piedi diverse città. Una volta si spinse fino a Delhi. Visitò a piedi più di quindici regni. Sapendo tutto ciò, mentre osservavo il Gange dall’alto vedevo ovunque i passi del Buddha, che continuano a portare in ogni luogo la sua solidità, libertà, pace, gioia e felicità.

Fu estremamente piacevole avere quindici minuti per visualizzare il Buddha laggiù, mentre camminava e condivideva la sua felicità, illuminazione, pace e gioia con la Terra e con gli esseri umani che abitavano que- sta regione della Terra. Mi commossi fino alle lacrime guardando dal finestrino dell’aereo, vedendo la presenza del Buddha nel qui e ora. Giurai di praticare la meditazione camminata allo scopo di portare i passi del Buddha in altre parti del mondo. Possiamo cam- minare in Europa, nelle Americhe, in Australia, in A- frica, e portare la pace e la gioia, la solidità e la libertà del Buddha ovunque nel mondo.

Ho viaggiato in tutto il pianeta. Ho condiviso la pratica della meditazione camminata con innumerevoli persone. Ho molti amici, sia monaci sia laici, che hanno camminato in quel modo in tutti i cinque continenti. Quindi adesso il Buddha è ovunque, non solo sul delta del Gange.
Visitando l’India in quell’occasione ebbi la possibi- lità di scalare il monte Gridhrakuta. Il Buddha solita- mente restava là, nelle vicinanze di Rajagriha, la capi- tale di Magadha, il paese in cui regnava re Bimbisara.

Un gruppo di amici – monaci, monache e laici – si arrampicò sul monte insieme con me. Con noi c’era un monaco chiamato Mahagosananda, ancora giovane, che in seguito divenne il patriarca della Cambogia. Salimmo sul Gridhrakuta lentamente e consapevolmente. Quando arrivammo in cima, vicino al punto in cui era solito sedere il Buddha, ci sedemmo tutti e riuscimmo a vedere lo stesso splendido tramonto che vedeva lui. Restammo seduti e praticammo la respirazione consapevole e contemplammo la bellezza del tramonto. Stavamo usando gli occhi del Buddha per ammirare e assaporare quel magnifico tramonto.

Re Bimbisara fece costruire un sentiero in pietra che si inerpicava dalle pendici del monte fin sulla ci- ma affinché il Buddha potesse salire e scendere più a- gevolmente. Quel sentiero esiste ancora. Se andate in quei luoghi potrebbe piacervi scalare la montagna percorrendolo, e immaginando che il Buddha ha calpestato quelle stesse pietre.

(Da La mia casa è il mondo, Garzanti, Milano 2020, trad. it. Sara Caraffini)

IO NON SONO QUI

Thich Nhat Hanh

Un mio discepolo in Vietnam vuole costruire uno stupa per le mie ceneri, quando morirò. Lui e altri vogliono includervi una targa con la scritta: «Qui giace il mio amato maestro». Ho detto loro di non sprecare il terreno del tempio. «Non mettetemi in un vasetto per poi collocarmi là!» ho chiesto. «Non voglio continuare in quel modo. Sarebbe meglio spargere le ceneri all’esterno, per aiutare gli alberi a crescere.»Ho suggerito che, se proprio vogliono realizzare uno stupa, sulla targa deve esserci scritto: «Io non sono qui». Ma nel caso in cui le persone non capiscano dovrebbero aggiungere una seconda targa che dice: «Io non sono nemmeno là fuori». Se ancora le perso- ne non capissero, allora sulla terza e ultima targa si può scrivere: «Mi si può trovare nel vostro modo di re- spirare e camminare».

Questo mio corpo si disintegrerà ma le mie azioni mi perpetueranno. Nella vita quotidiana pratico sempre il vedere la mia continuazione tutt’intorno a me. Non abbiamo bisogno di aspettare la completa dissoluzione di questo corpo per continuare: continuiamo in ogni momento. Se pensi che io sia solo questo corpo, allora non mi hai visto veramente. Quando guardi i miei amici vedi la mia continuazione. Quando vedi qualcuno che cammina con consapevolezza e compassione sai che è la mia continuazione. Non capisco perché dobbiamo dire: «Morirò», dal momento che vedo già me stesso in te, in altre persone e nelle generazioni future.

Persino quando una nuvola non c’è più continua sotto forma di neve o pioggia. Per una nuvola è impossibile morire. Può diventare pioggia o ghiaccio, ma non può diventare niente. Non ha bisogno di avere un’anima per continuare. Non esiste inizio e non esi- ste fine. Io non morirò mai. Ci sarà una dissoluzione di questo corpo, ma ciò non significa la mia morte. 

Io continuerò, per sempre.

(Da La mia casa è il mondo, Garzanti, Milano 2020, trad. it. Sara Caraffini)

Cosa succede quando si muore?

Thich Nhat Hanh

Siamo abituati a pensare di avere un sé separato che è nato in un determinato momento e deve morire in un altro, e che nel corso della nostra vita ha un carattere permanente. Finché avremo questa visione erronea, soffriremo: creeremo sofferenza per chi ci circonda, e danneggeremo le altre specie e il nostro prezioso pianeta. 
Non siamo limitati al nostro corpo fisico, anche da vivi.  Siamo interdipendenti con i nostri antenati, con i nostri discendenti e con l’intero cosmo. Non abbiamo un sé separato, e in realtà non siamo mai nati e non moriremo mai. Siamo interconnessi con tutta la vita, e siamo sempre in trasformazione.
 
Riesci a vedere la tua continuazione nei tuoi genitori, nei tuoi fratelli e nelle tue sorelle, nei tuoi insegnanti e nei tuoi amici? Riesci a vedere il corpo di continuazione dei tuoi genitori e dei tuoi cari? Non c’è bisogno di invecchiare o morire per vedere il proprio corpo di continuazione. Non abbiamo bisogno di aspettare la completa disintegrazione di questo corpo per cominciare a vedere il nostro corpo di continuazione, così come una nuvola per vedere il suo corpo di continuazione non ha bisogno di essere completamente trasformata in pioggia. Riesci a vedere la tua pioggia, il tuo fiume, il tuo mare?
 
Ognuno di noi dovrebbe esercitarsi a vedere il proprio corpo di continuazione nel momento presente. Se riusciamo a vedere il nostro corpo di continuazione quando siamo ancora vivi, sapremo come coltivarlo per creare le condizioni di una bella continuazione nel futuro. Questa è la vera gioia di vivere. Poi, quando arriverà il momento della dissoluzione del nostro corpo fisico, saremo in grado di liberarlo facilmente.
 
Quindi, la risposta più concisa possibile alla domanda: “Cosa succede quando si muore?” è che non si muore. Ed è proprio questa la verità, perché quando si comprende la natura della persona che sta morendo, e si comprende l’atto stesso del morire, ci si accorge che la morte non esiste più. Non c’è nessun sé che muore. Esiste solo la trasformazione.
 
La pratica della consapevolezza porta sollievo su molti piani. Ma il sollievo e la pace arrivano davvero quando siamo in grado di toccare la nostra natura di non nascita e di non morte. È fattibile. È alla nostra portata. E ci dona molta libertà. Se siamo in contatto con il nostro corpo cosmico, il nostro corpo di Dio, il nostro corpo di nirvana, non abbiamo più paura di morire. Questo è il succo dell’insegnamento e della pratica del Buddha. C’è chi può morire felice, perché ha avuto accesso a questa intuizione profonda.

Da Thich Nhat Hanh, The Art of Living: Peace and Freedom in the Here and Now (2017)

Vita senza limiti

Thich Nhat Hanh

Vedo che questo corpo fatto dei quattro elementi non sono davvero io, e che non sono limitato da questo corpo. Sono l’intero fiume di vita dei miei antenati spirituali e di sangue che scorre ininterrottamente da migliaia di anni e che per migliaia di anni continuerà a scorrere in futuro. Sono un tutt’uno con i miei antenati e i miei discendenti. Sono la vita che si manifesta in innumerevoli forme diverse. Sono un tutt’uno con tutte le specie, siano esse pacifiche e gioiose o sofferenti e impaurite. 

Sono presente ovunque in questo mondo. Sono stato presente in passato e lo sarò anche in futuro. Il disfacimento di questo corpo non mi tocca, come la caduta dei petali del fiore di prugna non significa la fine dell’albero di prugne. 

Vedo che sono come un’onda sulla superficie del mare. Mi vedo in tutte le altre onde, e vedo tutte le altre onde in me. La manifestazione o la scomparsa dell’onda non toglie nulla alla presenza del mare. 

Il mio corpo di Dharma e la mia vita spirituale non sono nati e non muoiono. Posso vedere la presenza di me stesso prima della manifestazione di questo corpo e dopo il disfacimento di questo corpo. 

Posso di vedere la presenza di me stesso al di fuori di questo corpo, anche nel momento presente. Ottanta o novanta anni non sono la durata della mia vita. 

La mia vita, come quella di una foglia o di un Buddha, è incommensurabile. Posso andare oltre l’idea di essere un corpo separato da tutte le altre manifestazioni della vita, nel tempo e nello spazio.

Da Thich Nhat Hanh, Touching the Earth: Intimate Conversations with the Buddha (2017)

Storia di un fiume

By Thich Nhat Hanh

Nata sulla cima di una montagna, la piccola sorgente scende a valle a passo di danza. Il ruscello canta lungo il cammino. Vuole andare veloce. Non riesce proprio ad andare piano. Corre, si affretta, non c’è altro modo, sarebbe pronto anche a volare. Vuole arrivare. Arrivare dove? Arrivare al mare. Ha sentito parlare di quel bellissimo mare, di un blu profondo. Diventare un tutt’uno con il mare: ecco cosa desidera.

Scendendo lungo la pianura, diventa un giovane fiume. Si fa strada tra le belle praterie, e deve rallentare. «Perché non posso correre come quando ero un ruscello? Voglio raggiungere il profondo mare blu. Se continuo così lentamente, come potrò mai arrivare?». Quando era un ruscello, non era contento di quello che era, e voleva crescere subito per diventare un fiume. Ma, ora che è un fiume, non si sente ancora felice. Non sopporta di dover rallentare.

Poi, a mano a mano che rallenta, il giovane fiume comincia a far caso alle belle nuvole che si riflettono sulle sue acque. Hanno colori e forme diversi, fluttuano nel cielo, e sembrano libere di andare dove vogliono. Il fiume vorrebbe essere come una nuvola, e comincia a rincorrerle, una dopo l’altra. «Non sono felice come fiume. Voglio essere come voi, altrimenti soffrirò. La vita non vale davvero la pena di essere vissuta». Così il fiume comincia a stare al gioco. Insegue le nuvole. Impara a ridere e a piangere. Ma le nuvole non restano a lungo nello stesso posto. 

«Si riflettono sulle mie acque, ma poi se ne vanno. Nessuna nuvola sembra fedele. Ogni nuvola che conosco mi ha lasciato. Nessuna nuvola mi ha mai portato soddisfazione o felicità. Detesto la loro infedeltà. L’emozione di rincorrere le nuvole non vale questa sofferenza e questa disperazione».

Un pomeriggio, un forte vento porta via tutte le nuvole. Il cielo si svuota disperatamente. Non ci sono più nuvole da inseguire. Per il fiume, la vita è diventata vuota. Ora si sente così solo che non vuole più vivere. Ma come può morire un fiume? Vuol dire forse che prima è qualcosa e poi non è più nulla? Che prima è qualcuno e poi non è più nessuno? È possibile? Nella notte, il fiume torna a se stesso. Non riesce a dormire. Ascolta le sue stesse grida, lo sciabordio delle sue acque contro la riva. 

È la prima volta che si ascolta in profondità, e così facendo scopre qualcosa di molto importante: le sue acque sono fatte di nuvole. Ha inseguito le nuvole senza sapere che le nuvole sono la sua stessa natura. Il fiume allora si rende conto di avere dentro di sé ciò di cui andava in cerca. Tocca la pace. A un tratto, può fermarsi. Non sente più il bisogno di rincorrere qualcosa al di fuori di sé. È già quello che voleva diventare. La pace che provato è davvero gratificante e gli fa trovare un profondo riposo, un sonno profondo.

La mattina dopo, svegliandosi, il fiume qualcosa di nuovo e meraviglioso che si riflette nelle sue acque: il cielo blu. «Quanto è profondo, com’è calmo. Il cielo è immenso, stabile, accogliente e completamente libero». Per quanto possa sembrare impossibile, è come se fosse la prima volta che il fiume riflette il cielo sulle sue acque. Ma è proprio così, perché prima si interessava soltanto alle nuvole, e non aveva mai prestato attenzione al cielo. Nessuna nuvola può mai lasciare il cielo. Il fiume sa che le nuvole sono lì, nascoste da qualche parte nel cielo blu. Il cielo deve contenere in sé tutte le nuvole e le acque. Le nuvole sembrano impermanenti, ma il cielo è sempre lì come la casa fidata di tutte le nuvole.

Facendo esperienza del cielo, il fiume sperimenta la stabilità. Fa esperienza della realtà ultima. Prima aveva sperimentato soltanto il venire e l’andare, l’essere e il non essere delle nuvole. Ora è in grado di toccare la casa di tutto ciò che viene e va, che è e non è. Ormai nessuno può togliere il cielo dalle sue acque. Com’è bello fermarsi e fare questa esperienza! Fermarsi e fare questa esperienza gli ha permesso di accedere alla vera stabilità e alla pace. È arrivato a casa.

Quel pomeriggio il vento smette di soffiare. Le nuvole tornano una ad una. Il fiume è diventato saggio. Può accogliere ogni nuvola con un sorriso. Le nuvole, con i loro colori e le loro forme, sembrano le stesse di prima, ma per il fiume non sono più le stesse. Non sente il bisogno di possedere o di rincorrere una nuvola in particolare. Sorride a ogni nuvola con equanimità e gentilezza amorevole. Si gode i loro riflessi sull’acqua. E quando si allontanano, il fiume non si sente abbandonato e le saluta dicendo «Arrivederci. Buon viaggio». Non è più legato a nessuna nuvola. È una giornata felice. 

Quella notte il fiume apre serenamente il cuore al cielo e riceve l’immagine più bella mai riflessa sulle sue acque: una meravigliosa luna piena, una luna straordinariamente luminosa, radiosa, sorridente. Lo spazio intero sembra voler concorrere alla gioia della luna, e questa sembra completamente libera. Il fiume riflette la luna sulle sue acque e gode della stessa libertà e felicità.

La luna piena del Buddha attraversa il cielo della più assoluta vacuità. Se i fiumi degli esseri viventi sono calmi, la luna radiosa si riflette meravigliosamente sulle loro acque. Che meravigliosa notte di festa per tutti: cielo, nuvole, luna, stelle e acqua. Nella pace sconfinata, il cielo, le nuvole, la luna, le stelle e l’acqua camminare insieme in meditazione. Camminano senza bisogno di arrivare da nessuna parte, neppure al mare. Possono essere felici nel momento presente. Il fiume non ha bisogno di arrivare al mare per diventare acqua. Sa di essere acqua per sua natura e allo stesso tempo anche nuvola, luna, cielo, stelle e neve. 

Perché scappar via da se stesso? Chi ha mai sentito parlare di un fiume che non scorre? Un fiume scorre, sì.

Ma non ha bisogno di correre.

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What is Mindfulness

Thich Nhat Hanh January 15, 2020

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